La depressione in eta' evolutiva
La mancanza di relazione e di cure adeguate , oltre che le sofferenze fisiche , possono far insorgere uno stato depressivo fin dai primi giorni di vita. In questi ultimi anni e’ stata riscontrata una maggiore incidenza della depressione , rispetto al passato , tra i bambini dai 0 ai 10 anni.
Nei bambini gli stati depressivi più frequenti sono i meno gravi, ma essi sono ugualmente insidiosi poiche’ condizionano in modo esponenziale la loro vita e la futura personalità. Per questo motivo e’ importante effettuare la diagnosi precocemente ed avviare il prima possibile gli interventi necessari sia per il bambino che per i suoi genitori.
La famiglia nucleare e le condizioni di vita nelle grandi città ne sono spesso la causa . Quando i bambini sono un po’ più grandi, l’esposizione ai mezzi telematici, ai video giochi e alla socializzazione virtuale dei social network, aggravano questi aspetti, perché li costringono ad un’innaturale immobilità ed all' isolamento emotivo sia rispetto ai genitori che ai coetanei.
La depressione infantile é spesso “reattiva” ad eventi traumatici, come per esempio: la morte di un nonno, la separazione fra i genitori, un trasloco, la nascita di un fratello… Il bambino a volte non ne è consapevole, altre non e’ in grado di verbalizzare il proprio malessere poiche’ , specie nella prima infanzia, puo’ percepirlo solo a livello inconscio senza riuscire a rappresentarlo e comunicarlo con le parole.
La depressione infantile può manifestarsi attraverso vari sintomi : apatia di, difficoltà a provare piacere , difficoltà nell’ addormentamento , insonnia , incubi, mancanza di iniziativa, stanchezza immotivata, algie agli arti, cefalea, frequenti febbri sine materia, comportamenti regressivi anacronistici per l’età, disappetenza che può sconfinare in anoressia vera e propria, bulimia, rifiuto di inghiottire cibo solido, disimpegno scolastico, mutismo elettivo, disturbi dell’attenzione, introversione, facilità al pianto, fobie varie, iperattività motoria, aggressività…
Inizialmente i genitori considerano tali sintomi come semplici capricci e , pertanto , attendono parecchio prima di richiedere una consulenza psicologica; il perdurare dei segnali di disagio solitamente li convince a farlo. Ad un occhio esperto non sfugge la scarsa vitalità di questi bambini ed il loro sguardo “spento”, segnali di malessere spesso accompagnati da difficoltà ad accedere al pensiero ed al gioco simbolico.
La prima causa di depressione infantile è la solitudine, che spesso sconfina nel maltrattamento psicologico dovuto a carenze relazionali .Questi bambini in poco tempo stabiliscono con il terapeuta un buon legame, generato dalla possibilità di avere a disposizione un adulto che dedica uno spazio di tempo e soprattutto uno spazio mentale per giocare con loro.
Il naturale bisogno di relazione, costantemente frustrato, a volte per il ricorso a mezzi meccanici usati come baby-sitter, sono una delle cause principali di depressione in età evolutiva ; anche le problematiche legate alle condizioni di vita dell’adulto con il quale vivono , per esempio l’instabilità lavorativa o la perdita del lavoro dei genitori, possono creano negli adulti un malessere che si ripercuote sullo stile di vita dei piccoli e sui loro vissuti.
Durante le sedute con questi bambini emergono spesso contenuti legati alla morte, alla distruzione, alla mancanza di speranza e/o di una soluzione qualsiasi che possa risolvere situazioni intricate (espresse con disegni o con il gioco), tipiche del vissuto depressivo, che si presenta, seppur con contenuti adeguati all’età, con modalità tutto comparabili a quelle dell’adulto.
Un ruolo importante nel riconoscimento di una depressione infantile viene svolto dal pediatra e dalla scuola . La depressione infantile può essere spesso curata, anche nei casi nei quali è stata scatenata da una malattia somatica. La psicoterapia non esclude la possibilita’ di intervenire anche sulla coppia genitoriale , ed è tra gli strumenti più efficaci per ottenere risultati migliorativi della qualità della vita psichica del bambino , a breve ed a lungo termine.

Cos'è e Come Affrontarla La fobia dei ragni, conosciuta anche come aracnofobia, è uno dei disturbi d'ansia più comuni. Si manifesta con una paura irrazionale e intensa nei confronti dei ragni, che può variare da una semplice sensazione di disagio a veri e propri attacchi di panico. Chi soffre di questa fobia tende a evitare luoghi dove potrebbero esserci ragni, come cantine, giardini o anche la propria casa. Cause della Fobia Le cause dell’aracnofobia sono spesso legate a esperienze personali traumatiche, ma possono anche derivare da fattori genetici o evolutivi. In passato, l'istinto di evitare animali potenzialmente pericolosi, come i ragni velenosi, potrebbe aver favorito la sopravvivenza. Oggi, però, la paura dei ragni è per la maggior parte delle persone sproporzionata rispetto al reale pericolo. Sintomi I sintomi della fobia dei ragni includono: · Tachicardia (battito cardiaco accelerato) · Sudorazione eccessiva · Tremori · Difficoltà a respirare · Sensazione di nausea In casi estremi, la paura può portare a crisi di panico. Come Affrontare la Fobia La buona notizia è che l'aracnofobia può essere trattata. Le opzioni terapeutiche includono: 1. Psicoterapia 2. Desensibilizzazione Sistemica : Consiste nell'esposizione graduale ai ragni in modo controllato per ridurre la paura. 3. Tecniche di Rilassamento : Aiutano a gestire l'ansia e lo stress legato alla fobia. Se la paura dei ragni interferisce con la vita quotidiana, è consigliabile rivolgersi a un professionista della salute mentale per una valutazione e un trattamento adeguato.

Un primo passo da fare è mettere in pratica alcuni suggerimenti Prima di volare: 1- Conoscere il funzionamento di un aereo ed il lavoro della cabin crew: permette al nostro cervello “razionale” di non allarmarsi 2- Razionalizzare con un mantra: utilizzando la parte razionale ci si ripete frasi del tipo “Volare è il modo più sicuro, le reazioni nel mio corpo sono una normale risposta alla situazione che sto vivendo e posso controllare il mio modo di reagire”. 3- Non lasciarsi impressionare dalle notizie in televisione sui disastri: i dati del sito Aviation Safety Network (Asn) confermano il primato di sicurezza dell’aereo rispetto ad altri mezzi di trasporto. 4- Riposarsi prima di partire: in modo da sentirsi lucido ed efficace nel gestire le proprie reazioni piuttosto che esasperarle per la stanchezza. 5- Imparare le strategia per fronteggiare l’ansia: la visualizzazione (immaginando ogni fase prima del volo e sull’aereo, per almeno due minuti e piu’ volte), le tecniche di rilassamento muscolare (stringi i pugni per sei secondi e poi rilassa le dita ecc…) In aeroporto: 6- Check in: arrivare in anticipo, scegliere un posto vicino al’ ala dell’aereo e scegliere un menu’ leggero 7- Stare in aereo:- Mantenere il corpo rilassato e lo sguardo in alto durante il decollo e l’atterraggio per evitare di provare nausea- Tenere la cintura allacciata – Non bere alcoolici e caffe – Vestirsi a cipolla per la variazione di temperatura 8- Addestrarsi sulle strategie di coping da utilizzare in aereo: - Groungind - Distrazione - Controllo del respiro - Rievocazione: di un momento felice che stimolera’ la produdione di ossitocina che contrastera’ il cortisolo- Non nascondere la paura: parlane con gli altri a ricevi le loro rassicurazioni Rientro a casa: 9- Farsi aiutare: questi suggerimenti da soli non bastano a superare la paura e, per questo, sarebbe opportuno approfondirne le cause profonde con l’aiuto di un bravo psicoterapeuta per arrivare a trovare un giusto equilibrio tra il desiderio di esplorazione e quello di protezione.

Circa la meta’ della popolazione ha paura di volare, prova disagio nel non avere i piedi per terra, ansia nel non poter ”controllare” la rotta, angoscia nell’affidarsi ad uno sconosciuto; in tali casi sembra prevalere il bisogno di conservazione e protezione preferendo rimanere all’interno di confini conosciutied attuando comportamenti di evitamento. Per l’essere umano volare non è un comportamento “naturale” e questo provoca una reazione di paura. La paura è un’emozione istintiva, primaria, conservativa, che serve per allertarci di fronte ai pericoli. La parte emotiva del nostro cervello, il sistema limbico, reagisce in modo immediato e inconsapevole di fronte a una minaccia mandando un segnale a tutto il corpo che si “prepara” per difendersi.La parte razionale del nostro cervello,la corteccia prefrontale, valuta la pericolosità di una minaccia, la comprende, le dà un significatoe ci fa decididere consapevolmente come comportarci. Quando ci si allerta troppo spesso, o anche per le cose più semplici, la nostra parte razionale viene ignorata e prevale quella emotiva che ci fa vivere l’ansia e le fobie, tra cui la paura di volare (Aerofobia).Spesso la paura di volare deriva da esperienze traumatiche precedenti, altre volte dalla nostra difficoltà nell’affrontare i cambiamenti, nel e gestire intense emozioni negative. Ogni soggetto ha una sua peculiare reazione: alcuni hanno paura di volare per la paura del vuoto e dell’altezza (Acrofobia), altri per la paura degli spazi chiusi (Claustrofobia), altri ancora soffrono di attacchi di panico. Molto spesso la paura inizia alcuni giorni prima della partenza accrescendo gradualmente lo stato di allarme del corpo che puo’ culminare in ogni fase del volo (check in, decollo, atterraggio) modificando le reazioni del nostro corpo (mani che sudano, muscoli che si irrigidiscono, cuore che battepiu’ forte…)

La fobia specifica è una paura, intensa, persistente e duratura, provata per una specifico stimolo trigger (oggetto, animale, luogo, situazione…) , una reazione sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia. Il soggetto provando ansia e terrore spropositati nei confronti dello stimolo fobico mettere in atto comportamenti di evitamento delle situazioni nelle quali è probabile incontrare lo stimolo. Nel caso dell’odontofobia questo è rappresentato dalle cure dentistiche che il soggetto tende a rimandare nel tempo aggrappandosi a terapie farmacologiche (antibiotici, antidolorifici) che ritardano la soluzione del problema ; l’esordio di tale fobia è più frequente nell’infanzia. L’ odontofobia è stata riconosciuta dall’Organizazione Mondiale della Sanità come un vero e proprio disturbo, è stata inserita nell’International Classification of Disease (ICD-10) tra le fobie specifiche (OMS, 1996) e riguarderebbe il 15-20% della popolazione. L’equipe odontoiatrica dovrebbe dimostrarsi sensibile e adattare a essi la strategia di trattamento. Importante la prevenzione del dolore e del disagio oltre che il tentativo di stabilire una buona relazione tra il bambino e l’equipe odontoiatrica dall’altra. Conoscere le caratteristiche del bambino con paura del dentista facilita la relazione e il lavoro con lo stesso. Va considerato il comportamento manifesto ma anche la presenza di eventuali problemi fisici, mentali, psicologici e sociali che possono limitare la terapia odontoiatrica. Wright , partendo dal presupposto che la cooperazione sia uno dei fattori principali nella riuscita di un trattamento, distingue tra bambini collaboranti, bambini privi di capacità di collaborazione e quelli potenzialmente collaboranti. Tra i pazienti che non collaborano si trovano i soggetti portatori di specifiche patologie fisiche (patologie cardiocircolatorie, patologie renali, disturbi endocrini, patologie intestinali croniche, allergie, patologie del sistema immunitario, patologie del sangue, patologie della pelle e patologie del sistema neuromuscolare) e/o psicologiche ( disturbi d’ansia e fobie), portatori di handicap (trisomia 21, autismo e ritardo mentale ) e soggetti con odontofobia. Oggi un pedodonzista e i suoi collaboratori devono usare una strategia integrata facendo riferimento a più discipline, per avere una visione più ampia possibile delle problematiche che affrontano. Riveste una certa importanza il riuscire a discriminare in odontoiatria la presenza di psicopatologie nel paziente al fine di decidere se intervenire appoggiandosi a qualcuno maggiormente competente come uno psicologo. Gli obiettivi di un lavoro psicologico in ambito odontoiatrico solitamente si concentrano sui temi del rilassamento, della distrazione, di un miglior rapporto con l’equipe. Per quanto riguarda il tempo , nel caso di un bambino che è alla prima visita, che ha paura del dentista o comunque presenta difficoltà, sarebbe sempre meglio disporre gli appuntamenti in modo tale da garantire al paziente il tempo necessario per comprendere, per adattarsi alla nuova situazione ed evitare l’instaurarsi di ulteriori paure e fobie. L’approccio degli odontoiatri deve essere lento e graduale, indirizzato verso il gioco e la conquista della fiducia del bambino. L’atteggiamento amichevole e positivo, comprensivo e paziente, dovrebbe avere l’effetto di calmare e rassicurare il bambino. Durante la seduta è consigliabile fornire al bambino degli strumenti di controllo sulla situazione come per esempio alzare la mano per chiedere una pausa, strategia che aumenta la collaborazione e permette di ridurre l’ansia. Il condizionamento operante ha effetto in pedodonzia nel modificare i comportamenti, sia per aspetti positivi che per aspetti negativi. Lo stabilirsi di una buona relazione si basa sulle competenze comunicative ( a livello verbale e non verbale) dell’équipe che deve considerare l’età e la maturità del bambino. Bisognerebbe evitare di separare i bambini piccoli dai propri genitori durante la fase iniziale del trattamento, poiché l’ansia per la separazione potrebbe aumentare il loro livello di stress generale e ridurne la capacità di comunicazione. Le diagnosi devono essere fatte con chiarezza e spiegate con termini accessibili, anche in base all’età del paziente. È importante che il bambino abbia alcuni appuntamenti con l’odontoiatra senza provare dolore prima di sperimentare i trattamenti che potrebbero provocare disagio o dolore. Il professionista dovrebbe sempre informare il bambino su ciò che sta per accadergli. Riducendo gli elementi di sorpresa e aumentando la prevedibilità ed il controllo si puo’ ridurre la paura del dentista. . I pazienti sono progressivamente esposti a tecniche e strumenti in grado di provocare ansia potenziale. In tal modo si crea la sensazione di essere capaci ad affrontare questi stimoli. Altra tecnica utilizzata è quella della desensibilizzazione. Sono previsti i passaggi relativi al trattamento a cui si ritiene sottoporre il bambino. Cio’ permette al bambino di avere una conoscenza sostanziale di ciò che sta accadendo, di avvertire una minima stimolazione dolorosa e di acquisire in qualche misura una sensazione di controllo della situazione. Considerati i numerosi casi di pazienti che presentano odontofobia, gli odontoiatri che trattano pazienti in età infantile dovrebbero possedere una adeguata formazione per poterli trattare.

Per alcune persone risulta molto difficile interrompere delle relazioni insoddisfacenti e frustranti poiche’ il pensiero di rimanerne privi viene vissuto come qualcosa di gran lunga peggiore. Si tratta di “non poter vivere con” e “non poter vivere senza”: il funzionamento della persona dipende dalla propria relazione affettiva. La dipendenza affettiva fa parte delle “nuove dipendenze”. A partire dagli anni ’70 la dipendenza affettiva è stata definita come un disturbo autonomo, con aspetti comuni a tutte le tipologie di dipendenza e con caratteristiche peculiari relative all’innamoramento ed alla relazione sentimentale. Nelle prime fasi dell’innamoramento, è possibile notare alcuni sintomi presenti nelle dipendenze, sia da sostanze che comportamentali, come per esempio: · euforia, · astinenza, · tolleranza, · dipendenza fisica e psicologica, -ricaduta L’amore, dunque, potrebbe essere paragonato a una sostanza d’abuso che crea dipendenza, che stimola le aree cerebrali legate alla ricompensa, proprio come le droghe, e porvi fine può provocare ansia e depressone. La relazione diventa l’obiettivo e, allo stesso tempo, la ricompensa, consentendo alla persona dipendente di ridurre la sofferenza e sentirsi meglio. I segni e i sintomi della dipendenza affettiva sono molto simili a quelli delle dipendenze comportamentali, e includono · Tolleranza: il bisogno costante di aumentare il tempo da trascorrere con il partner a spese di quello da investitire in attività autonome o in altre relazioni · Astinenza: la comparsa di ansia, panico, depressione, quando il partner è fisicamente o emotivamente distante · Perdita di controllo: la mancanza di consapevolezza rispetto alla propria situazione e di autogestione , alternata a momenti di lucidità accompagnati da vissuti di vergogna e rimorso Tutto cio’ si riflette, nel quotidiano, in una grande varietà di comportamenti e atteggiamenti : · Le emozioni del partner hanno più importanza delle proprie · La stima di sé dipende dall’approvazione dell’altro · Prendere una posizione o una decisione diventa difficoltoso e causa forti sensi di colpa · La paura di essere abbandonati è cosi’ intensa che i vari comportamenti tentano di evitare la solitudine e il rifiuto · Riconoscere ed esprimere i propri pensieri ed emozioni è difficile o spaventoso · La maggior parte del proprio tempo viene impiegato per controllare il partner · Le conseguenze negative che la relazione produce in tutti gli altri ambiti vengono ignorate La dipendenza affettiva è solitamente associata ai seguenti tratti di personalità: · Difficoltà nel prendere decisioni senza chiedere consigli e ricevere rassicurazioni. La mancanza di fiducia nella propria capacità e l’estrema colpevolizzazione in caso di errori errori, rende terrificante la possibilità di sbagliare · Bisogno che altre persone si assumano la responsabilità di ambiti importanti della propria vita. · Difficoltà nell’essere in disaccordo con gli altri. · Difficoltà nel portare a termine progetti o attività in autonomia. Per evitare agli occhi degli altri un eventuale fallimento percepito come inevitabile. · Emozioni negative al pensiero di poter rimanere da soli · Assumersi sempre la responsabilità di situazioni negative, anche quando non corrisponde al vero. · Incapacità di creare o difendere i propri confini L’associazione americana Dipendenti affettivi anonimi (Love Addicted Anonymous) ha delineato alcuni profili tipici: · Dipendente affettivo ossessivo. Non riesce a distaccarsi dalla propria relazione, anche se il partner non è emotivamente o sessualmente disponibile · Dipendente affettivo codipendente. Soffre di mancanza di autostima e cerca, con ogni mezzo, di trattenere con sé la persona da cui dipende facendo qualsiasi cosa per “prendersi cura” del proprio partner, nella speranza che, un giorno, venga ricambiato. · Dipendente dalla relazione. Pur non essendo più innamorato del partner, non riesce a lasciarlo; è estremamente infelice e spaventato dal cambiamento e dalla possibilità di rimanere da soli. · Dipendente affettivo narcisista. Usa la seduzione e la dominazione per controllare il proprio partner. Dinanzi alla minaccia di un abbandono, cerca con ogni mezzo di mantenere la relazione, fino ad arrivare alla violenza. · Dipendente affettivo ambivalente. Soffre di un disturbo di personalita’ evitante, che implica una ricerca estenuante dell’amore accompagnata dalla paura’ dell’intimità. · Seduttore rifiutante. Ricerca un partner per ottenere affetto, compagnia o sesso per poi, quando si sente insicuro, rifiutarlo, in un ciclo continuo di disponibilità e indisponibilità. · Dipendente romantico. La dipendenza, in questo caso, riguarda partner multipli. Instaurano legami con tutti i loro partner, in gradi diversi, anche se le relazioni sono di breve durata o si sviluppano contemporaneamente. Il superamento di tali difficolta’ è un processo complesso che può richiedere del tempo e necessita’ del riconoscimento della problematica, della consapevolezza delle conseguenze che ha avuto sulla propria vita e su quelle che potrebbe avere in futuro e della motivazione ad intraprendere un processo di cambiamento attraverso un percorso di psicoterapia.

Nel precedente post abbiamo visto come Inside Out non sia semplicemente un film d'animazione. In questo video vediamo come anche il sequel (Inside Out 2) sia un film "neurologicamente corretto". Ogni emozione ha il suo senso, ogni scena ha significato e spiega per bene un paio di concetti di psichiatria.

Le storie familiari traumatiche sono esperienze molto dolorose che spesso non vengono elaborate e, per questo. possono costituire una vera e propria eredita’ per le generazioni successive influenzandole in modi non sempre di facile comprensione. Infatti anche se non c’ è consapevolezza cosciente, tali esperienze non elaborate hanno il potere di orientarci in una certa direzione. Tutto cio’ puo’ avvenire senza che un ricordo sia necessariamente condiviso. La generazione successiva potrebbe provare la sensazione che qualcosa di terribile sia successo nella storia familiare senza sapere esattamente cosa. I tabu’, i segreti, i non detti, che proteggono dal dolore se stessi ed i figli, si comportano come fantasmi che perseguitano le generazioni successive, come quella che Gampel nel 2020 ha definito la trasmissione radiottiva del trauma. I sintomi manifestati sono molto simili a quelli del Disturbo da Stress Post-Traumatico, come l’ipervigilanza e la disregolazione emotiva; altri sintomi associati potrebbero essere: vergogna, bassa autostima, vulnerabilita’ ed impotenza, sintomi dissociativi, difficolta’ nelle relazioni di attaccamento, difficolta’ nel regolare la rabbia e l’aggressivita’, estrema reattivita’ allo stress, isolamento e ritiro, lutto complicato,disturbo da abuso di sostanze, disturtbi del sonno, autolesionismo ed ideazione suicidaria. Il trauma intergenerazionale puo’ verificarsi sia a causa di eventi che ha vissuto il singolo individuo che a causa di eventi collettivi che hanno colpito la popolazione per generazioni ( discriminazioni razziali, guerre, l’ Olocausto ecc.). La trasmissione del trauma intergenerazionale puo’ avvenire in vari modi. Quello piu’ evidente è la relazione genitore-figlio. Per esempio, essere accuditi da una madre che ha vissuto dei traumi non elaborati comporta un alto rischio di trasmissione intergenerazionale del trauma, inficiando la costruzione della condizione di sicurezza necessaria al soddisfacimento dei vari bisogni. Molti studi hanno supportato l’ idea che gli effetti del trauma possono riverberarsi sulle generazioni successive attraverso l’epigenetica, ovvero l’insieme delle alterazioni del proprio patrimonio genetico in conseguenza di esperienze emotive avverse; quindi le esperienze traumatiche avrebbero un impatto biologico oltre che psicologico sulle generazioni a venire. Ovviamente la generazione successiva potrebbe non mostrare esattamente lo stesso tratto sviluppato dai propri genitori e la trasmissione del trauma potrebbe andare incontro a delle modifiche nel passaggio tra una generazione e l altra. Va sottolineato che le conseguenze del trauma sul nostro patrimonio emotivo e genetico, e su quello delle generazioni successive, potrebbero essere annullate intraprendendo un percorso di psicoterapia volto ad elaborare le esperienze traumatiche. Affrontare l’eredita’ emotiva occupandosi di quelle ferite del passato che i nostri genitori e nonni non sono riusciti ad elaborare permette di dare un senso alle cose e di rompere la trasmissibilita’del trauma nel futuro.
In occasione del World Obesity Day 2024, il presidente CNOP Lazzari ha portato la voce della professione psicologica presentando l’Alleanza Italiana per l’Obesità in Senato. E' ormai risaputo che i problemi psicologici favoriscono l’obesità che a sua volta causa disagi e disturbi psichici. Si tratta di un circolo vizioso che va spezzato con interventi appropriati. In questo contesto, lo psicologo scolastico, di base, nei servizi territoriali e in ospedale deve esserci per fare la sua parte in una strategia globale di prevenzione e assistenza ad una patologia sempre più diffusa.